La fotografia analogica è sempre stata nei miei pensieri, più o meno da quando ho iniziato ad avere maggiore consapevolezza del mezzo fotografico, da quando insomma ho iniziato a fotografare non più solo come esercizio di stile ma come mezzo per esprimere me stesso in relazione a ciò che vedo quotidianamente.

Fotografare in analogico si sa, richiede un approccio totalmente diverso dal digitale. Un rullino contiene 36 pose e questo, in un mondo digitale in cui una piccola card SD può arrivare a contenere migliaia di scatti, è già un limite che porta il fotografo a pensare, ragionare, valutare, aspettare, prima di ogni singolo scatto. Il valore dell'attesa in questo momento storico è qualcosa che purtroppo non ti insegna più nessuno. L'importanza di aspettare il momento giusto o quello che si ritiene esserlo, in maniera del tutto personale. Non sono mai stato un purista della fotografia, sono nato in un mondo già proiettato verso il digitale, faccio parte della generazione "ponte" tra il vecchio e il nuovo mondo e ho iniziato a fotografare quando la strada era già ampiamente tracciata e la tecnologia già aveva messo a disposizione software, fotocamere e un'infrastruttura ben consolidata alle spalle.

Tuttavia il mio desiderio di provare il nuovo (che in questo caso è "vecchio") e affrontare nuove sfide non ha potuto far altro che scontrarsi con la necessità di fare qualche passo indietro in termini di tecnologia, nel tentativo di fare qualche passo avanti in termini di visione fotografica. Sono quindi approdato nel vastissimo mondo della fotografia analogica.

Ho scattato diversi rullini nel corso degli anni, ho voluto svilupparli in casa con pochi mezzi e tanta voglia di assaporare quel mondo, senza badare troppo alla resa finale o alla precisione del metodo. La fotografia per me è sempre stata e lo è sempre più col passare del tempo qualcosa di viscerale che parte prima dallo stomaco e poi dalla testa. L'assoluta imperfezione dei miei rullini mi restituisce gioia ed emozioni, adoro ogni singola sfocatura, ogni piccolo granello di polvere o graffio, tutto mi riconduce alla materia, a qualcosa di tangibile, che esiste in quanto oggetto, che tramite un procedimento meccanico prima e chimico poi vede la luce come un qualcosa che in un certo senso si può dire avere una propria vita.

Il bello di tutto questo processo poi, è l'attesa del risultato finale. Sono molto pigro e incostante, e ho impiegato a volte anni prima di sviluppare dei negativi, tanto da dimenticarne del tutto il contenuto. Poter ammirare quelle pellicole a distanza di mesi, anni, riscoprire dove si è stati, con chi si è condivisa quella giornata, è come entrare in una macchina del tempo, in un contenitore di ricordi sopiti che sono ancora lì, sono solo sbiaditi.

La serie che propongo in questo post risale ad Agosto 2018. Ero in vacanza a Budapest, da solo, una città che ho desiderato visitare per diversi anni. Lì ho avuto il piacere di incontrare tanti vecchi amici, essere ospitato nelle loro case e far parte per un po' delle loro vite. Uno di questi è Gege, bassista di una band locale, gli Skeemers. Un giorno mi chiede "vuoi venire ad assistere alle nostre prove?" Ovvio che sì! Mi sono armato della mia Yashica malconcia e un rullino vergine, e ho immortalato la loro musica al meglio delle mie possibilità.

Ne è uscito fuori un documento, grezzo, imperfetto, sfocato, sporco, intenso, come fu quel pomeriggio caldissimo in quella saletta in compagnia di questi personaggi incredibili che suonano una specie di surf rock con voce femminile. In coda alle foto allego anche un loro video.