43 anni e un mese. Tanto è occorso a mio padre per andare in pensione.

43 anni e un mese passati in una sala operatoria, tra turni di mattina, turni pomeridiani, reperibilità notturne, operazioni improvvise, centinaia e centinaia di trapianti di cuore, milioni di parole crociate, i pazienti sopravvissuti e le loro telefonate di ringraziamento e quelli che invece non ce l'hanno fatta.

Il lavoro di mio padre ha dato alla morte e alla vita un senso molto più terreno.

"signora, qua il padreterno non è mai passato", disse una volta un medico in uno dei suoi racconti, quei racconti beffardi, a volte grotteschi.

Mio padre è una persona schiva, enigmatica, difficile da interpretare e complicata da ritrarre, sembra sempre che nasconda chissà cosa, ma è sempre lo stesso, anche dopo 43 anni e un mese di servizio.

I suoi capelli saranno sempre neri, neri come la pece, saranno sempre tantissimi, più dei miei e di quelli di mia madre e mia sorella messi insieme. I suoi baffi saranno sempre lì, sotto il suo naso, una volta neri e adesso grigi, le sue mani saranno sempre tozze e segnate dagli anni e dai continui lavaggi, il suo fumetto preferito sarà sempre Tex Willer e avrà sempre una settimana enigmistica da riempire con una penna. Le sue sigarette continueranno a bruciare, le sue battute continueranno a non farmi ridere, sempre.